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Il vino parla giovane: GenZ e Millennials trainano il mercato in Italia e USA

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Altro che disinteresse: i giovani bevono vino, lo scelgono bene e lo trasformano in un simbolo di stile. A dirlo è l’ultima indagine Uiv-Vinitaly, che sfata i cliché generazionali e ci invita a guardare il futuro con un calice mezzo pieno

C’è un’aria nuova che soffia tra le etichette dei vini italiani, ed è un vento giovane. Se per anni abbiamo pensato che i ventenni e trentenni fossero distanti dal mondo del vino – troppo lenti i suoi rituali, troppo “da adulti” i suoi sapori – oggi le ricerche dicono altro. E con forza.

Secondo l’Osservatorio Uiv-Vinitaly, presentato in occasione del 57° Salone Internazionale del Vino e dei Distillati (Veronafiere, 6-9 aprile), in Italia e negli Stati Uniti sono proprio i consumatori under 44 – Millennials e GenZ – a salvare il mercato del vino premium. Spendono di più, cercano qualità e lo fanno con uno sguardo fresco, meno legato al brand, più attento all’esperienza e alla socialità.

Lo status symbol è servito

Non solo abbinamenti col cibo: per i giovani il vino è anche – e forse soprattutto – un’espressione di identità. Un “fashion statement”, come lo definisce la ricerca. In Italia, ben il 56% dei giovanissimi lo considera tale, contro appena il 28% dei boomer. Lo stesso trend si ritrova anche negli USA, dove è nata la categoria degli “Status Seekers”: solo l’11% dei consumatori abituali, ma capaci di generare oltre un terzo del valore delle vendite.

Questa nuova generazione di winelover non si affeziona facilmente ai marchi, cambia spesso etichetta e non ha paura di sperimentare. Personalmente, trovo questo atteggiamento un’opportunità d’oro per i piccoli produttori e per le realtà emergenti che cercano visibilità senza potersi appoggiare alla forza di un brand storico.

Il vino è sociale, non solitario

Un altro dato che sorprende – ma forse non troppo – è l’associazione tra consumo di vino e socialità. Per i giovani americani, in particolare, bere vino significa condividere momenti: sette su dieci dichiarano di aver aumentato il consumo per via di una vita sociale più attiva.

E qui entra in gioco un altro aspetto interessante: i cocktail. L’amore per i drink miscelati non toglie spazio al vino, anzi. Sembra piuttosto che i giovani cerchino varietà, momenti diversi per prodotti diversi. Il vino non è più solo da pasto, ma anche da aperitivo, da festa, da relax serale.

I veri sobri? I più grandi

E se si parla di calo nei consumi, il dito non va puntato sui giovani. In America, infatti, sono gli over44 a ridurre le quantità, mentre i Millennials e la GenZ mostrano maggiore costanza e perfino un lieve aumento nel consumo. Anche in Italia, il 14% degli under44 beve più vino rispetto al passato, contro appena il 7% degli over.

Certo, cresce anche la cosiddetta “sober curiosity”, ma in chiave temporanea: i famosi “dry period” coinvolgono molti giovani, soprattutto negli USA. Tuttavia, la scelta non sembra essere un addio, piuttosto un arrivederci consapevole.

Una sfida per chi produce

Questi dati rappresentano molto più di una curiosità statistica: sono un invito – se non una chiamata alle armi – per i produttori italiani. Il mondo del vino, a volte troppo tradizionale, deve sapersi raccontare meglio alle nuove generazioni. Non serve snaturare il prodotto, ma forse cambiare il linguaggio, il modo di presentarsi, e l’esperienza che si offre.

Come? Penso a etichette più inclusive e narrative, a degustazioni digitali, a eventi pensati per chi il vino lo scopre con entusiasmo, non con reverenza.

 

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